Il rumore del tempo

Julian Barnes

Ed. Einaudi - 2016

Ignorante come una capra sulla musica classica mi è arrivata invece potente la tragedia dell’ uomo, qui impiantato in un sistema totalitaristico, quasi al limite del grottesco, kafkiano.
Qualcuno, ho letto, vede al centro il rapporto arte-potere, (è storia di Sostakovic ai tempi di Stalin, prima messo al bando, poi resuscitato e infine strumentalizzato), ma ciò che mi è giunto in ogni riga è l’arrancare nel pantano di una vita, dove il mostro non è quasi più l’ oppressore politico, ma l’ io incapace sia di gesti eroicamente ribelli, sia di una vera e propria capitolazione e di un liberatorio abbandono al sistema: un continuo bilico tra la resa e la ribellione che diviene tarlo, la tortura del vorrei ma-non-sono-in-grado. E l’arte, e la speranza che la musica sopravviva “al rumore del tempo” trovando finalmente il suo posto, è l’ unica, pur blanda, consolazione, come il paradiso dei credenti dopo una vita di dolori.
Scritto mirabilmente come solo Barnes può fare, ha una prima ed ultima parte in cui le parole penetrano come, appunto, musica, (e sapiente uso di flashback e pensieri liberi – capace e sempre affascinante tecnica narrativa). Forse un po’ piantato nella parte centrale, di maggior narrazione storica.
Interessante anche, istruttivo su un periodo che è già storia, ma troppo vicina ancora perché davvero faccia parte del nostro bagaglio culturale.
CONSIGLIATO, molto.

Ara LH