Io non mi chiamo Miriam

Majgull Axelsson

Ed. Iperborea

Tante iniziative vengono fatte e tante cose vengono giustamente dette per NON DIMENTICARE: il 2 agosto, l’11 settembre, il 25 aprile, il 27 gennaio giorno della memoria che commemora le vittime dell’olocausto, e che coincide con la data della liberazione del campo di Auschwitz. Credo che a tutti noi quel giorno venga in mente per ovvie ragioni lo sterminio degli ebrei, sebbene
questa giornata commemori anche le vittime di deportazioni politiche o militari. Ma quasi da nessuna parte viene menzionata un’altra popolazione sterminata dai nazisti, quella dei ROM, forse perché non ha una patria, non ha una religione attorno alla quale si raccoglie, non ha divise da indossare né ideologie politiche o partiti riconoscibili, e che per questi motivi non ha goduto, alla fine della guerra, dello stesso sentimento di solidarietà e di compassione che hanno avuto gli altri, anzi, ed anche nei campi di sterminio erano considerati dagli altri prigionieri come feccia: “Bah – disse – Zingari. Si sa come sono fatti quelli”.
Nella postfazione al libro Bjorn Larsson scrive: Miriam in realtà è una Rom ed il suo vero nome è Malika. La scelta di assumere l’identità di una ebrea è dettata dalla paura: dopo essere stata separata dai suoi ed essere finita in un gruppo di ebree, scopre che gli ebrei disprezzano i rom ed immagina, erroneamente, di avere come ebrea più possibilità di sopravvivere che come rom. Miriam sopravvive, e dopo la guerra si ritrova in Svezia, che accoglie decine di migliaia di ebrei provenienti dai lager con un calore pari alla freddezza dimostrata nei loro confronti prima e durante la guerra. Paradossalmente, l’olocausto ha in parte reso più facile dopo la guerra essere ebreo; l’antisemitismo è costretto a ritirarsi nelle cantine razziste in cui era germogliato. I rom, invece, non godono dello status di vittime dei nazisti riconosciuto agli ebrei e continuano ad essere considerati rifiuti della società.
In quella Svezia che l’ha accolta da ebrea Miriam/Malika decide di restare ebrea e di vivere una vita completamente costruita attorno al bisogno di nasconderà sé stessa. Questo non è solo un romanzo sull’olocausto, ma è anche un forte romanzo su cosa significhi vivere una vita intera con un segreto che non può essere svelato, soppesare costantemente cosa si può o non si può dire, essere in una certa misura sempre costretti a fingere, senza mai perdere del tutto il controllo della propria coscienza.
Libro duro, ma magnifico e necessario.

Ross